martedì 31 marzo 2009

CRISI ECONOMICA, CRISI DELLA POLITICA

La crisi economica continua a dare segnali poco confortanti. Le borse sono sempre piu' schizzofrenice e suscettibili di improvvisi cambiamenti, dovuti maggiormente a variabili umorali che non a concrete motivazioni di tipo economico.
L'economia reale e' di fatto bloccata. L'incertezza e la sfiducia dominano uno scenario di per se congelato, caratterizato da una riduzione degli investimenti, da un calo della produzione e da una conseguente erosione del potere d'acquisto delle famiglie, in cui al problema della inoccupazione si aggiunge quello della disoccupazione conseguente al licenziamento.
Nelle banche il risparmio viene eroso dalle famiglie come risorsa di primaria necessita', la fiducia alle imprese viene concessa col lumicino determinando un ulteriore calo negli investimenti e nella produzione, con una prospettiva per il 2009 che si attesta ad un - 4,3%.
La politica nel nostro Paese come risponde? Dividendosi scelleratamente come sua consuetudine.
Da un lato la crisi viene sminuita dal Governo, imbarazzato nel fronteggiare un momento storico davvero difficile e preoccupato nel non far intaccare il suo largo consenso. Ogni settimana si promettono misure d'intervento straordinarie, in vari settori nevralgici, per presentarsi all'opinione pubblica come solido punto di riferimento nella guida del Paese.
Si passa dall'edilizia popolare, alla costruzione di centrali atomiche, dalla ennesima presentazione del progetto di realizzazione del Ponte sullo Stretto al piu' "semplice" disegno di allargamento edilizio di tipo familiare. Il tutto intermezzato da cadenzati spot auto-celebrativi come l'ulteriore dispiegamento di forze dell'ordine nei grandi centri - con una criminalita' che non tende a scemare - viaggi inaugurali su treni super veloci - che non migliorano le condizioni del pendolarismo su rotaia - l'accensione di termovalorizzatori - che di certo non bonificheranno aree martoriate.
Dall'altro la crisi viene accentuata dall'opposizione con cinica perfidia, con la propagazione di un allarmismo diffuso che spinge l'opinione pubblica verso un cupo e pessimistico baratro esistenziale.
Dietro le frantumazioni del sindacato, trasformatosi in interlocutore politico, all'incapacita' della sinistra - negli ultimi anni divenuta elite di intellettuali salottieri o girotondini - di intercettare le reali esigenze dei lavoratori, con un' opposizione variegata e lacerata al suo interno fin dalla nascita, al punto tale di perdere per dimissioni il suo leader, si rievocano a mo' di minaccia, i fantasmi sessantottini della lotta di classe, dello scontro di piazza, come ultime manifestazioni possibili per dare giusta dignita' alla propria esistenza e tangibile esempio di riscatto sociale. Cosa gravissima e preoccupante.
Solo in Italia, la crisi economica viene cavalcata dalla politica come strumento di sterile scontro ideologico.
Solo in Italia, le differenti parti politiche non si siedono intorno ad un tavolo per cercar di dare risposte concrete all'esigenza dei cittadini.
Solo in Italia, l'avversario politico viene visto come nemico. Da una parte si rievocano i rischi del comunismo come attentato alla liberta' individuale. Dall'altra il leader della piu' grande forza politica liberale del Paese viene visto come un dittatore populista tipico dei regimi dell'America latina.
Intanto la nazione rotola, imprigionata dai suoi atavaci ritardi, il suo storico debito pubblico, il suo dividersi tra laicismo e clericalismo, tra liberismo e dirigismo, tra aperture al mercato e velleita' protezionistiche, con spinte al giustizialismo che restano solo utopistici proclami di facciata impossibili da realizzarsi, in quanto castrati da un sistema giudiziario storicamente lento, obsoleto, ingessato, con risorse economiche e numero di carceri sottostimati rispetto alla vastita' del fenomeno delinquenziale.
Con queste premesse, lo scontro sociale potrebbe esplodere per davvero.

Nessun commento: