sabato 29 novembre 2008

ARBUSTUM: LA CASAL DI PRINCIPE MENO CONOSCIUTA

Il 30 novembre 2003, realizzavo un sogno.
Su terreni di famiglia e con capitali personali trasformavo la mia casa di campagna in azienda aperta al pubblico. Nasceva Arbustum, azienda agrituristica, che compie cinque anni di attivita'.
Casal di Principe ha il suo agriturismo, diventato in breve tempo, vero fiore all'occhiello dell'intero comprensorio aversano.
Per anni la mia villa era stata ritrovo di allegre scampagnate dei miei amici napoletani.
Napoli, citta' dove sono nato e dove vivo tutt'ora, improvvisamente mi appariva stretta, caotica, con i suoi ritmi incessanti tipici delle metropoli.
Dottore in Scienze Politiche, amante dei viaggi, mi avvicino alla campagna aversana, rimanendone affascinato. La mia casa in campagna per anni stata luogo di evasione, svago, riflessione, diventa la mia attivita' economica.
Arbustum rappresenta l'amore per questa terra dalle antichi origini, cuore della Campania Felix, trovandosi morfologicamente in un letto naturalmente fertile, tra due zone vulcaniche, il Vesuvio ad Est ed i Campi Flegrei ad Ovest, bocche di fuoco che per millenni hanno donato a questa terra, humus prezioso.
Arbustum e' la testimonianza attiva di chi crede ancora in questo territorio ed opera con impegno silenzioso e costante per far si che esso non perda la speranza per un futuro di cambiamento.
Nel corso di questi anni, migliaia di clienti hanno scelto Arbustum come luogo ameno per trascorrere in spensieratezza il loro tempo libero.
Famiglie del comprensorio aversano, da Caserta, dalla non lontana Napoli, hanno premiato la mia azienda con la loro presenza.
Anche gli americani della vicina Base di Gricignano, hanno visto in Arbustum la loro "country house", diventando assidui frequentatori, gustando la genuinita' dei piatti preparati in azienda in un ambiente rustico e familiare.
In quest'ultimo periodo, l'azienda ha dovuto fronteggiare non solo le conseguenze della crisi economica ma la recrudescenza dei fenomeni malavitosi, sui quali pero' si e' determinato un accanimento mediatico eccessivamente univoco, dalle venature antropologiche, tale da oscurare di fatto, le tante realta' positive del territorio.
Arbustum, per tali considerazioni, in questo momento storico, rappresenta ancor di piu' la parte sana di Casal di Principe, quella purtroppo meno conosciuta che chiede con forza di mostrarsi per la sua bonta'.

giovedì 27 novembre 2008

SENZA SPERANZA NON C'E' FUTURO

La crisi ci attanaglia. La crisi ci circonda. La crisi ci rende pessimisti, riducendo la nostra percezione del futuro.
Tutti auspicano provvedimenti immediati, risolutori, miracolosi e che soprattutto non scontentino nessuno.
In Italia viene sottolineato come il nostro sistema bancario sia ancora solido, come l'economia reale pur se ferma e in ritardo rispetto agli altri paesi europei, non e' ancora compromessa da questa onda di incontrollato tracollo globale.
Vengono auspicate intese bipartizan, dove vengano garantiti gli interessi di tutte le categorie. E' questo il problema. Proprio in questa fase di forte crisi come si fara' a salvare tutti? Quali categorie privilegiare, quali favorire di meno?
Si invocano interventi straordinari, eccezionali ma soprattutto repentini. Si vuole puntare a grossi investimenti nelle infrastrutture, in un paese che a riguardo, ha ancora tratti di ferrovia risalenti al periodo monarchico. Puntare alle grandi opere, quando ce ne sono una miriadi di incompiute o di realizzate e subito dopo abbandonate.
Si vuole intervenire direttamente su una parte del PIL prodotto, dove questo e' tra i piu' bassi dei paesi industrializzati gia' in tempi "normali" e dove lo stesso serve in prima analisi a tamponare l'emorragica presenza di uno storico debito pubblico, tra i piu' alti dei paesi industriali.
Si vuole puntare sulla capacita' di reazione del paese, una caratteristica da molti considerata insita nel bagaglio culturale nazionale, anche se una sola volta in tutta la storia economica italiana, si e' verificato un periodo di boom economico record, a cavallo tra gli anni 50' e 60'. E si perche' per risalire la china non servono dei passettini ma un vero e prorio balzo, un altro miracolo economico.
Nel dopo guerra si partiva dalla distruzione. Si doveva creare l'economia. Oggi bisogna convertirla, adattarla alle esigenze del momento, sganciarla possibilmente dai meccanismi di correlazione internazionali.
L'Italia nonostante le enormi difficolta' ha comunque delle caratteristiche peculiari che altri paesi non hanno. Le altre economie del mondo ce le riconoscono. Noi in Italia, ne dovremmo essere piu' consapevoli. Dovremmo puntare su alcune "italianità" e farne sistema.
La crisi e' diffusa. Sicuramente maggiore ne e' la sua percezione. Oggi l'economia finanziaria(la borsa) e' la prova evidente che l'aspetto umorale diventa preminente e che i suoi riflessi possono influenzare un'economia reale gia' contratta.
Oggi in Italia viene addirittura considerato inopportuno parlare di ottimismo. Da molti viene considerato quasi un'offesa alla dignita' umana.
Ma la crisi economica non si deve tramutare in una crisi dell'io.
La vulnerabilita' dei numeri non deve compromottere quella della sfera soggettiva.
Se un uomo non ha piu' speranza, la societa' non ha piu' futuro.
Anche il "yes we can" di Obama, non e' stato un meccanismo propagatore di speranza?
Proprio in questo momento di crisi diffusa, ognuno dovrebbe credere maggiormente nelle proprie capacita', opporsi fortemente a questa diffusione oscurantista dai tratti sociologici, diventando protagonista del proprio domani.


martedì 25 novembre 2008

CAMPANIA: SCACCHIERA DELLA POLITICA NAZIONALE

La Campania e' stata nella storia della politica italiana, una regione che ha sempre prestato sue illustri figure politiche alla Nazione.
La regione ha fornito al Paese tre Presidenti della Repubblica, vari Presidenti del Consiglio, una quantita' enorme di Ministri e Sottosegretari, nonche' alte figure nel Consiglio dell'Ordine della Magistratura.
La Campania oggi e' Villari. La Campania e' anche Bassolino. La Campania e' stata Mastella.
Sappiamo il notevole contributo che l'On. Clemente da Ceppaloni, uno dei tanti leader storici dell'ex Dc, abbia dato con il suo Udeur alla vittoria di Prodi nel 2006. Per un pugno di voti, il Professore di Bologna, riuscì a governare per due anni il Paese, spesso con il solo voto dei Senatori a vita.
Allo stesso modo sappiamo come l'ex Ministro della Giustizia sia stato determinante per la caduta del Governo di centro-sinistra, mettendo fine alla stagione dell'Ulivo.
Si e' dovuto ricorrere in fretta ad organizzare una nuovo partito da opporre al centro-destra.
Nasce il PD, si genera pero' in modo disarmonico, unendo la vecchia anima del PCI divenuta poi PDS, DS, con quella piu' a sinistra della Democrazia Cristiana, traghettata nel PPI e poi nella Margherita. L'importante era far dimenticare velocemente Prodi.
Veltroni e' stato incoronato nuovo leader di un nuovo partito, dove di nuovo c'e' solo il nome.
Veltroni nelle primarie, si tiene lontano dalla Campania. La Regione attraversava il suo momento peggiore. Era in piena emergenza rifiuti. Il suo Governatore, Bassolino, vero stratega incontrastato della politica campana era improponibile nei nuovi organigramma del partito.
In cambio del suo "congelamento" Bassolino riesce a ottenere la candidatura della consorte Carloni al Senato, missione riuscita agevolmente.
Veltroni commette anche l'errore di estromettere per ragioni di svecchiamento, un altro pezzo da novanta campano, un uomo storico della politica regionale e nazionale: Ciriaco De Mita da Nusco che ritorna sotto lo scudo crociato di Casini, creando subito grosse emorragie interne al PD.
Queste cose, sicuramente non saranno state dimenticate dal Governatore e dal suo fedele amico D'Alema, vera mente e regista del neonato partito. Nel bene o nel male, Bassolino ha portato alla sinistra italiana milioni di voti, sia nella sua precedente attivita' di sindacalista che poi in quella di amministratore unico e incontrastato del territorio campano da circa vent'anni.
Oggi la questione Villari, Senatore del PD, puo' assumere delle sfaccettature molteplici a livello nazionale ma anche a quello regionale.
Veltroni esce ulteriormente indebolito dalla vicenda della vigilanza Rai. Si e' accentuata la spaccatura con l'IDV, sono emerse tutte le divisioni tra la corrente veltroniana e quella dalemiana. Al silenzioso imbarazzo di Veltroni nell'accettare la nomina di Zavoli, il quale comunque ha dichiarato che non potra' aspettare in eterno, segue lo strategico silenzio di D'alema che vede accrescere indirettamente la sua figura di unico leader carismatico.
Questo momento di incertezza del PD a livello nazionale puo' invece ravvivare il partito a livello regionale.
Ritengo che Villari indubbiamente, abbia visto aumentare il suo peso politico e ne e' consapevole.
In un momento in cui in Campania, il centro-sinistra sta scomparendo sommerso dai suoi ripetuti scandali, dove non ci sono figure emergenti nel panorama regionale, considerando che anche il Sindaco di Napoli, Iervolino, e' a fine mandato, dove Pecoraro Scanio lo cercano a chi l'ha visto, dove il chiasso di Caruso e' stato sostituito dalla giularita' delirante di Grillo, dove il partito a livello locale ha in Iannuzzi un Segretario eletto per auto-proclamazione, dopo oltre un mese dalle primarie per allontanare i dubbi di brogli a danno del Presidente della Provincia di Caserta De Franciscis, dove tutti gridano ad una accettatta colonizzazione berlusconiana anche negli ambienti della sinistra, una vicenda come quella di Villari puo' far scatenare nuove alchimie strategiche, puo' determinare un nuovo risveglio politico in una parte ormai spenta della politica regionale.
Credo che queste cose non siano sfuggite di vista ad una persona sveglia come il Governatore, ne' all'amico D'Alema che in Campania gode sempre di un altissimo consenso.
Chissa' se Villari non stia pensando le stesse cose in chiave prospettica o per assurdo non stia eseguendo degli "ordini di scuderia"...
Per assurdo, una vicenda che ha messo in ridicolo il partito a livello nazionale, puo' far trovare a quello regionale nuova linfa.
La Campania, ancora una volta, e' crocevia strategico nella politica nazionale.

venerdì 21 novembre 2008

INTELLETTUALI CAMPANI: ELOGIO DELLA DECADENZA

Napoli e la Campania hanno visto negli ultimi anni aumentare le loro difficolta'.
L'emergenza rifiuti - non completamente scongiurata - e quella della criminalita' organizzata, non sono che punte di un iceberg fatto di abbandono, degrado, poverta', impoverimento socio-culturale, mala-politica.
Spesso, in modo cinico, strategico, queste difficolta' sono state adoperate ad arte dagli amministratori locali, per occultare i loro fallimenti ordinari, come conseguenza di una eccezionale straordinarieta'.
Da tempo pero' questo territorio non reagisce. Fisiologicamente poi, il popolo campano e' portato ad un atteggiamento di "autoflagellazione", accentuando così in modo cinico, i suoi problemi, in una forma di autorappresentazione che sfocia in masochismo esistenziale.
Da tempo la classe imprenditoriale trova solo ostacoli nel suo sviluppo.
Da tempo la borghesia e gli intellettuali hanno abbandonato il territorio. I pochi rimasti non contribuiscono a predisporne il riscatto ma ne accentuano la decadenza, con una testimonianza ed un impegno sociale che esalta questo disfacimento.
Invece di fare da traino per far reagire la societa', al contrario ne sanciscono il crepuscolo, evidenziandone i limiti , divenuti anche grazie alle loro testimonianze, epressione di un humus decadente, dalle connotazioni antropologiche.
Il mondo della cultura campano si e' trasformato in un amplificatore dei media convenzionali, dove la cronaca finisce di essere elemento di denuncia e diventa spettacolo. In questo spettacolo pero' non vengono proiettati i fallimenti degli attuali amministratori, divenuti ormai, vera "casta dinastica". Abusi, consulenze, concussioni e ladrocinii non vengono trasformati in opere letterarie.
Gli intellettuali quindi, non riuscendo ad imporre propri elementi di elevazione sociale fanno da eco a quegli interpreti estemporanei che da semplici protagonisti della realta', sono diventati narratori della stessa. Da Saviano alla giornalista Capacchione - a breve uscira' un suo libro sulla camorra - passando per il p.m. Cantone, la cronaca diventa narrativa. Questa poi si trasforma in una sorta di "mitologia" della devianza. A breve, dato il suo propagarsi inflazionato, diventera' folklore o come si usa dire oggi, glamour. Si perdera' il valore della denuncia, aumentera' quello del costume - indicativa e' la diffusione di dvd falsi sul film Gomorra, realizzati dalla stesse organizzazioni malavitose -.
Il problema quindi non e' l'opera meritoria e coraggiosa degli autori di questo nuovo filone narrativo ma il fatto che la societa' e la cultura non reagiscono proponendo autonomi modelli alternativi.
Per intenderci, e' indicativo che non ci sia uno scrittore, un saggista, un filosofo di spessore che esalti le gesta di un magistrato ma che quest'ultimo diventi oratore di se stesso.
Oggi tutti fanno a gara ad esternare il marcio, non rendendosi conto che in questa maniera diventeremo tutti - propositori e riceventi il messaggio - attori di una glorificazione celebrativa di un periodo di decadenza, compromettendo seriamente le attrattive positivita' del territorio, testimonianze storiche-artistiche-paesaggistiche di raro splendore ma anche gli eccellenti esempi di imprenditoria e artigianato locale, unicita' invidiate nel mondo che oggi sono oscurate da questo modello di cultura, volutamente crepuscolare.

martedì 18 novembre 2008

IL FANNULLONE E' DI SINISTRA? PER ME E' PAGNOTTISTA

Ancora grandi polemiche intorno al Governo. Questa volta non sono ne' le battute del Premier a tenere banco, ne' i discorsi della Gelmini. L'imputato e' Brunetta.
Secondo quanto afferma il Ministro, chiamato con il preciso compito di far lavorare una volta per tutte gli imboscati, a suo dire i fannulloni hanno una precisa provienenza politica: la sinistra.
Apriti cielo. Gli animi diventano roventi. Come al solitio scende in campo il sindacato.
In assenza di una sinistra degna di questo nome, il sindacato per l'ennesima volta, si fa portavoce e tutore degli interessi di una precisa parte del Paese. Epifani da del bugiardo a Brunetta, difendendo gli statali.
Vorrei esporre delle considerazioni. Da quando c'e' Brunetta, si e' verificato un calo nell'allontanamento dal servizio di circa il 40% in Italia. Per incanto i lavoratori pubblici sono diventati degli impiegati modello, non chiedendo permessi e soprattutto non si ammalano, evidenziando la loro sana e robusta costituzione.
Si dira' che i lavoratori sono costretti a svolgere il loro servizio anche da malati; fino ad oggi mi pare che non ci sia stata nessuna denuncia per attentato alla incolumita' personale.
Andrebbe al tempo stesso evidenziato l'orientamento elettorale del pubblico impiego. Ritengo che specie in quest'ultimo decennio, i lavoratori statali di certo, non hanno votato a destra. Ma si sa, in questi casi il voto e' segreto...
Va inoltre sottolineato come l'impiegato pubblico, sia esso di vecchia assunzione o di recente nomina, alle dipendenze dirette dello Stato o ancor di piu' negli enti locali, entra in una logica fisiologicamente clientelare. Si appoggia una parte politica non in virtu' di esigenze di rappresentanza ma in un'ottica appartenenza.
In regioni "dinasticamente" a sinistra come la Campania o ultimamente a destra come la Sicilia, si sostiene chi comanda. Questa forma di imbarazzante deriva "scambista" ha accentuato questi comportamenti non proprio ortodossi dei dipendenti. L'impiegato assicura un certo "gettito" elettorale, il dirigente preposto ad un eventuale controllo, chiude gli occhi su condotte non esemplari dei suoi subalterni. Si genera così una forma di naturale rilassamento dove controllato e controllore diventano inevitabilmente complici dell'imboscamento.
Per tali motivi, il pubblico dipendente non lo possiamo definire ne' romanticamente a destra, ne' impegnatamente a sinistra. Il dipendente pubblico in prima analisi e' pagnottista. Segue in modo sfacciatamente trasformista, chi garantisce il suo essere fannullone.
Certo non si possono fare generalizzazioni indiscriminate. Anche tra gli statali ci sono professionisti seri, preziosi esempi di laboriosita'. Allo stesso modo quindi, dovrebbero essere sfatati altri luoghi comuni, secondo cui ad esempio, il mondo dell'imprenditoria privata e' caratterizzato da una forte propensione all'evasione.
La coerenza va mantenuta sempre.

domenica 16 novembre 2008

PUNTARE SULLE INFRASTRUTTURE: ORMAI E' TARDI

L'ISTAT afferma che l'Italia non cresce. Ma va, non ce ne eravamo accorti...
la produzione e' ferma da tempo, anzi decresce. La gente non ha piu' soldi. L'Italia e' messa peggio degli altri paesi europei, con una crescita negativa negli ultimi sei mesi e con proiezioni future peggiori degli altri paesi europei.
Il G7 diventato G8, si trasforma in G20. Venti grande potenze, ma dov'e' tale grandezza? Eccetto i paesi emergenti dell'Asia, la Russia, il "resuscitato" Brasile, questa grandezza io non la vedo. Tutte le vecchie potenze economiche piangono.
Queste stesse potenze nel frattempo, hanno pianificato programmi energetici fanta-futuristi. Tuttavia ad oggi, si affidano ancora tendenzialmente al petrolio. Il prezzo del greggio intanto, e' arrivato ai minimi storici, segno che la domanda e' davvero contratta.
Le borse assorbono questi umori, crollando in abissi tenebrosi, imprigionate dal loro stesso meccanismo speculativo. In tale buio finanziario, trascinano le banche di tutto il pianeta. Le imprese hanno enormi difficolta' a trovare credito; senza esso, nel breve, saranno costrette a chiudere. Il proletariato tornera' ad essere massa inoccupata. Cio' determinera' un ulteriore contrazione nella domanda e fara' scomparire del tutto la propensione al risparmio.
Come ricetta per uscire dalla crisi, tutti i paesi ora puntano sulle nazionalizzazioni. Siano essi liberisti o filo-statalisti, non sanno far altro che proporre l'emissione di nuovi soldi. Immettere denaro "finto" nell'economia reale che a questo punto diventa un sistema virtuale.
In Italia questa nazionalizzazione si tradurra' in allargamento delle grandi opere. Ma dove recimolare i soldi? Dovranno essere tagliate altre spese. Nella pubblica amministrazione abbiamo gia' visto cosa e' accaduto. Tagliare nella sanita'? Berlusconi passerebbe per carnifice. Alzare la soglia dell'eta' pensionabile? Un esercito di lavoratori bloccerebbe il paese, guidato da un sindacato divenuto organo insurrezionale. Abbassare le risorse delle forze dell'ordine? Il settore e' gia' allo stremo. Aumentare le tasse? Prodi l'ha fatto con i noti risultati.
Rilanciare le grandi opere. Per anni ci si e' opposti al Ponte sullo Stretto, alla Tav, all'edilizia popolare. Ambientalisti dell'ultima ora, vedevano nei programmi di governo forme di autorizzata devastazione del territorio, in cui sarebbero state favorite grossi lobbi affariste(con il placet delle mafie locali) collegate al potere politico. Una parte considerevole del Paese, espressione della politica del no, dell'immobilismo ostruzionista non ha voluto che fosse alimentato questo volano di sviluppo.
Oggi tutti ritornano sui propri passi e in modo per così dire bipartizan, cercano di riaccenedere un meccanismo interrotto. Adesso pero' e' troppo tardi. I soldi sono proprio finiti.
Per vederli, bisognera' fabbricarli.

giovedì 13 novembre 2008

BLOCCO ALITALIA: ANCHE GRILLO RESTA A TERRA

Il paese e' nel caos. Tutti protestano. Dovunque si sciopera.
La congiuntura avversa e' mondiale. L'anno prossimo in America, probabilmente sara' pignorato il 30% delle case. Oltre 100.000 persone perderanno il lavoro nella sola New York.
In Germania la BMW prospetta licenziamenti. Anche il costo del petrolio e' sceso notevolmente, sintomo che la produzione si sta davvero fermando.
In Italia si dira': ma il costo alla pompa non scende. Appunto, l'Italia.
Qui si vive un altro scenario. Si continuano a fare nostalgiche battaglie ideologiche. La paralisi oltre che economica e' anche politica, nel senso che la politica e' paralizzata in una logica di scontro sterile, fazioso, campanilistico che fa dell'Italia un paese di ridotte prospettive.
La protesta diventa effimera arma di rappresentazione e sopravvivenza corporativa, non valido strumento di elevazione sociale.
La vicenda Alitalia e' emblematica. Dopo decenni di permissivismo parassita e assistenzialismo centralizzato(comunque pagato da noi contribuenti) improvvisamente ci accorgiamo che i dipendenti della principale compagnia di bandiera rinunciamo mal volentieri ai privilegi che hanno maturato nel corso di questi lustri. Si dira' che il Governo non ha voluto vendere ai francesi per questioni elettorali. Siamo d'accordo. Si dira' che il premier ha voluto svendere la compagnia ai suoi amici. Siamo d'accordo.
Dovremmo essere anche d'accordo sulla deriva politica del sindacato, sulla sua frammentazione. Non solo non si e' avuto un atteggiamento unanime da parte delle maggiori sigle ma alla fine le stesse, sono rimaste vittime di individualismi corporativi di categoria, che non hanno fatto che intasare un gia' caotica vertenza. In questo momento storico, l'Alitalia e' piu' che mai espressione di una nazione che non decolla.
In così tanta e diffusa protesta, viene ridimensionato anche il ruolo di Grillo, come unico e incontrastato sensibilizzatore di massa.
A distanza di un anno, il creatore del Vaffaday non riceve il consenso iniziale. Soprattutto non e' l'unico a urlare in questo paese. Anzi, quando cerca di accodarsi alla protesta, come e' accaduto a Bologna per la riforma(taglio) Gelmini, viene messo "gentilemente" da parte. La gente e' stufa anche di lui, comico tribuno divenuto giullare di piazza, con la pretesa di esserne l'unico a calcarne la scena.
Gli italiani si sono resi conto che il suo messaggio era veritiero, meno la sua condotta.
Gridava lo svecchiamento della politica, per proporre poi, lui sessantenne, liste civiche alle ultime elezioni. Urlava gli abusi del potere in modo volgarmente moralizzatore, per poi essere impietosamente delegittimato dall'ex Ministro delle Finanze Visco che rendeva pubblici le sue fiscali evasioni per circa 4.000.000 milioni di euro.
Le folle titaniche che riusciva a muovere con il suo verbo non lo hanno seguito nel momento principale della sua battaglia: il referendum.
Il masaniello della rete, nonostante la rete, non fa piu' proseliti.


lunedì 10 novembre 2008

CAMPANIA: QUI DI OBAMA NEANCHE L'OMBRA

E' una fase storica in cui tutti gridano, urlano, tendono al cambiamento. Per noi campani, quando girera' il vento?
La regione e' ferma, immobilizzata dai suoi atavaci problemi, dai suoi eccessivi contrasti, divisa com'e' tra grandi potenzialita' e pesanti limiti della sua classe dirigente.
Da anni si condannano gli intellettuali e la borghesia di aver abbandonato il territorio. I pochi rimasti non ne hanno determinato il riscatto ma al contrario, accentuato il suo ritardo, decantandone la decadenza.
Per anni la politica locale ha annunciato con il suono delle trombe, programmi tesi ad un'inversione di tendenza. Si e' addirittura proclamato un "contagioso rinascimento", cosa forse avvenuta soltanto nelle menti fantasiose dei nostri amministratori. Costoro hanno costruito una politica fatta di spot, sapientemente veicolati da professionisti della comunicazione che hanno presentato il territorio come il salotto buono di una nobile dimora antica. Non e' stata fatta vedere alcuna traccia di polvere e soprattutto si e' nascosto il resto della casa, ormai decadente.
E' stata la politica del "taglio dei nastri". E' stata la politica della demagogia, espediente che alla lunga si ritorce contro chi la utilizza, quando alla parola non segue l'azione.
Nell'ultimo periodo poi, l'abilita' o piu' sfacciatamente l'astuzia dei nostri amministratori, e' stata quella di nascondersi dietro l'aggravarsi delle emergenze, fenomeni divenuti cronici.
Prima quella dei rifiuti, dove sono emerse responasabilita' dirette di chi governa il territorio, poi quella della criminalita' organizzata, con la recrudescenza dei suoi fenomeni, hanno consentito ai politici locali di celare, quasi occultare i loro fallimenti. Le loro incapacita' a gestire l'ordinario come conseguenza diretta di una eccezionale straordinarieta'.
Anche l'opposizione ha perso del tempo prezioso. Si e' agito soltanto in un' ottica del facile consenso. Non si e' determinata ne' una reale alternativa politica, ne' un diffuso risveglio sociale.
Al tempo stesso, col passare dei lustri, gli attuali amministratori hanno propagato la loro influenza in modo capillare, ramificato, determinando in modo naturalmente organico, un esteso sistema clientelare.
I governanti locali andranno via per fine mandato, non per scelta elettorale. La svolta sara' storica, non politica. Non ci sara' nessun vento di rinnovamento a spazzar via un'aria divenuta ormai putrida.
L'amministrazione locale e' come un malato terminale. Si aspetta la sua fine naturale.
Nessuno ha il coraggio di staccare la spina, pur sapendo che sarebbe la via meno dolorosa.

venerdì 7 novembre 2008

METTIAMO I PIEDI PER TERRA

Nella vita ci sono tanti momenti che aspettiamo con ansia, con trepidazione, a cui poi diamo enorme aspettativa.
Quando ci avviciniamo alla maggiore eta', attendiamo quel giorno come un momento di profondo cambiamento della nostra persona. Pensiamo improvvisamente, che in un attimo la nostra vita possa prendere un nuovo corso, che tutto cio' che circonda lo inizeremo a guardare con un'ottica diversa.
Anche quando ci sposiamo, viviamo un momento magico, irripetibile. L'amore, la simbiosi con la persona che ci sta accanto in quel momento, ci da forza, ci rende euforicamente ottimisti, ci permette di mettere da parte qualsiasi esitazione dinanzi ad un evento che sicuramente provochera' un mutamento nella nostra vita.
Anche la nascita di un figlio ci provoca tanta emozione. Soprattutto le mamme, ma anche i papa' attendono quel momento come la massima gioia di una vita: allargare la famiglia.
Raggiunti questi tanto attesi desideri, improvvisamente ci rendiamo conto che insieme alla gioia, aumentano le nostre responsabilita', il nostro impegno verso cio' che ci circonda. Alla felicita' segue un momento di riflessione, di maggiore ponderazione delle cose.
Dal sogno realizzato, ci svegliamo mettendo i piedi per terra e vedendo spesso una realta' che e' piu' complessa di come noi l'abbiamo ipotizzata.
Quel momento tanto agognato ci appare, quasi mettendoci timore, nel suo aspetto nascosto, nel suo lato che non conosciamo o quanto meno mai immaginato. Dobbiamo comunque affrontarlo, poiche' ora fa parte della nostro presente, della nostra vita.

Con Obama, oggi il mondo vive un sogno. Da tanto tempo si e' atteso questo cambiamento.
Da un lato c'e' un uomo solo che ha voluto ciecamente che cio' si avverasse.
Dall'altro una moltitudine di persone che ha spinto in questa direzione, sperando l'avverarsi di una tanto attesa utopia.
Finalmente il momento e' arrivato. C'e tanta aspettativa. L'eccitazione e' palpabile.
Bisogna adesso mettere i piedi per terra, affrontare la dura realta' delle cose e capire che l'avverarsi di un desiderio tanto atteso, non e' la fine di un percorso ma solo il primo gradino di una lunga scala da superare.

mercoledì 5 novembre 2008

OBAMA - KAY RUSH - IL SOGNO

Il sogno americano riparte.
Riparte dalle macerie di una scellerata politica Bush che ha sperperato ingenti risorse (almeno 3.000 miliardi di dollari) in un'ostinata politica di esportazione della democrazia con l'uso delle armi.
Riparte contando le migliaia di vittime dell'infinito conflitto iracheno, di gran lunga superiori a quello delle torri gemelle (dramma dai risvolti molto nebulosi).
Riparte in un momento di grossa crisi economica interna ed internazionale, causata proprio da irresponasabili logiche finanziarie e speculative degli USA che hanno determinato conseguenze carastrofiche in tutto il mondo.
Riparte con spirito maggiormente coeso. La vittoria di Obama e' anche questo.
Riflette le variegate convivenze della cultura americana, un popolo che con Obama mette da parte le vecchie divisioni di classe e di razza, un popolo che dalle diversita' trova armonie riequilibranti.
Obama, prende per mano la sua gente, e di queste diversita' anche sociali e politiche, non solo di razza, ne da un messaggio di aggregante cambiamento.
Obama non e' stato votato solo dagli afro-americani. E' stato votato in modo trasversale, da tutti coloro che credono ancora nella forza degli Stati Uniti, come paese di riferimento nel mondo.

In riferimento alla giornata (nottata da noi) elettorale e mio obbligo fare i complimenti alla sempre attenta professionalita' di Kay Rush, giornalista e speaker di Radio Monte Carlo che ha curato lo speciale "IL RUSH FINALE" su RMC, in collaborazione con Blogosfere.
Kay, rappresenta in pieno la poliedricita' interculturale del popolo americano.
Per le sue origini americano-giapponesi - oggi definito "meticciato"- per la sua vita di battaglie e conquiste sociali, per il suo interfacciarsi con le diverse tradizioni e abitudini dei popoli, dovuto alla sua professione e ad i suoi hobby che la portano a girare per il mondo, per il suo aprirsi al nuovo - lei e' sempre stata un'antesignana del rinnovamento - per il suo credere nelle qualita' interiori delle persone a prescindere da stereotipati meccanismi relazionali.
Per tutto cio', lei impersona il modello di societa' americana, esaltandone la sua dimensione cosmopolita, riducendone i suoi contrasti, cosa che Obama cerca di proporre in una dimensione globale.
Ieri ha arricchito di notevoli contenuti lo special di RMC con la sua navigata esperienza radiofonica, la preparazione, la qualita' e la comunicativa dei suoi ospiti, dando inoltre a noi blogger la possibilita' di vivere in modo attivo e diretto i momenti di un cambiamento epocale.
Obama, materializza un sogno.
Kay Rush, ce ne ha reso partecipi.

domenica 2 novembre 2008

IL NUOVO SOGNO AMERICANO

Gli Stati Uniti il 4 Novembre possono cambiare il destino del mondo.
La decisa vittoria di Obama puo' dare inizio ad un "rinascimento" nel modo di interpretare la politica e l'economia nel mondo. La rivoluzione americana puo' partire nuovamnte.
Obama non rappresenta solo il candidato "nero" che si insedia alla Casa Bianca.
Su tale questione si e' fatta troppa dietrologia spicciola, si e' consumata una stereotipata questione socio-culturale.
Obama prima di tutto, essendo un candidato democratico, rappresenta la giusta logica dell'alternanza, cosa che negli Stati Uniti e' sempre stato sinonimo di sano e rigenerante riequilibrio politico -istituzionale.
Obama ha poi delle qualita' intrinsiche, proprie. E' una figura politica fuori dall'establishment convenzionale, cosa ad esempio che apparteneva alla Clinton. Lui non solo e' riuscito a sconfiggerla, ridimensionandola, ma al tempo stesso non ha creato fratture con il suo ambiente, ricevendo dai suoi stessi rivali di partito, un ulteriore appoggio prezioso.
Obama e' un candidato giovane, cosa importante in un paese dove cio' non rappresenta un limite ma una risorsa.
Nonostante cio' possiede doti comunicative che rappresentano una rottura con i soliti schemi precostituiti. Nulla di ideologico, ma una naturale leadership basata sul carisma comunicativo che gli consentono di avere una forte propensione al dialogo, all'ascolto. Gli Stati Uniti, dopo un periodo di politica aggressiva anche nella comunicazione, necessitano di una guida maggiormente predisposta al confronto, alla diplomazia. Mccain forse perdera' anche per questo, non identificava una svolta completa rispetto la politica dannosa esercitata dall'era Bush.
Per tali fattori, Obama e' risultato gradito anche ai cosiddetti indipendenti (anche conservatori) grosse figure di riferimento della societa' americana che si schierano non in virtu' di limitate logiche di appartenenza ma che appoggiano in modo acritico, la figura maggiormente rappresentativa per il loro paese, in un determinato contesto storico.
L'America per lustri ha rappresentato un modello di riferimento culturale, economico e politico.
Oggi pero', il mito americano e' crollato, sepolto dai suoi stessi eccessi.
Con la vittoria di Obama, puo' rinascere il sogno americano.
Il mondo e' alla finestra.

sabato 1 novembre 2008

NON PARLATE DI 68

Molti sostengono che l'attuale insofferenza sociale e le sue estrinsecazioni di piazza, possano portare alla mente il periodo della protesta per antonomasia: il 68.
Io sono di diverso avviso.
Anche allora si viveva una fase di cambiamento. Era pero' un periodo di trasformazione propositiva, creativa, radicale, contagiosa. Nella societa' mutavano tante cose.
La classe operaia vedeva acquisiti diritti prima sconosciuti.
La donna si emancipava(scopriva le gambe indossando la minigonna) rivedendo il suo ruolo nella societa'.
Gli studenti finivano di essere "massa passiva", diventando soggetti pensanti.
Le influenze culturali provenienti dall'estero, cambiavano i costumi nel loro insieme.
Era avvertito un "magma di cambiamento" in tutti gli strati della societa', mettendo contro in modo fortemente critico, due diverse generazioni.
Anche all'epoca la contestazione partì dal mondo universitario. Il pretesto fu l'opposizione alla guerra. In particolar modo si protestava contro la guerra in Vietnam, sottacendo in parte, l'invasione Sovietica in mezza Europa dell'est.
Il pullulare pulsante dell'animo giovanile fu anche allora veicolato in un contesto politico. Non era ancora l'epoca degli anni di piombo ma in quel periodo si determino' quella marcata divisione tra sentimento giovanile di destra e di sinistra.
Anche oggi assistiamo ad un cambiamento, caratterizzato pero' da una fase di regressione e decadenza, sia economica che sociale.
Gli eccessi della globalizzazione umiliano l'autonomia dei singoli. La crisi pero' e' anche culturale.
Vengono meno modelli di riferimento. La politica non svolge piu' un ruolo costruttivo per il paese. I partiti ne sono il loro specchio opaco, creando sterile scontro, non sana partecipazione attiva.
Il sindacato vede sminuito il suo ruolo, diventa a sua volta un macchinoso ingranaggio del Paese.
L'informazione diventata estesa, diffusa, capillare, si propaga pero' in un'ottica commerciale, annullando quel suo ruolo asettico e neutrale.
Tutto cio' porta ad un indebolimento dell'immagine dello Stato, come Istituzione primaria.
Scendere in piazza oggi non e' testimonianza di un cambiamento. E' solo un modo per urlare il proprio disagio. E' un fenomeno di protesta sociale indotto. La rappresentazione veicolata, di un vuoto ideologico e culturale che colpisce in questo momento storico, ampi strati della societa'.
Per tali motivi, oggi non ci troviamo dinanzi ad un altro 68.