venerdì 20 giugno 2008

CAMORRA, QUESTIONE SOCIO-CULTURALE

La sentenza di appello al processo Spartacus emessa nell'aula bunker di Poggioreale a Napoli, ha confermato quasi nella sua totalita', il giudizio dato in primo grado.
Per gli esponenti della camorra che opera nel casertano, sono stati emesse dure condanne.
Tali sentenze sono state pronunciate al cospetto di tanti giornalisti venuti anche dall'estero a differenza di decenni or sono, dove questi giudizi erano letti nel silenzio e nell'indifferenza generali.
Gia' questo e' un segnale positivo e rappresenta un incoraggiante cambiamento.
Ma il fenomeno camorristico dovrebbe essere visto per la sua interezza come connotazione socio-culturale.
Su un territorio dove da secoli imperversa l'illegalita', dove lo Stato ha perso del tutto la sua rappresentativita', i giovani non hanno altri riferimenti che non quelli offerti loro dalle famiglie malavitose.
L'essere camorrista e' diventato uno stato sociale, un modo di vivere e comportarsi, ancor prima di una forma di arricchimento economico.
La protervia e l'arroganza insita nelle persone e' un atteggiamento comportamentale, prima di essere una connotazione delinquenziale.
Bisognerebbe fin dall'infanzia formare la morale dei futuri giovani, proponendo loro modelli educativi di crescita forieri del linguaggio della legalita'.
Quando lo Stato interviene con opere di militarizzazione del territorio e' gia' troppo tardi.
Anche la rappresentazione scenica di film che riproducano le gesta e le azioni dei malavitosi, non servono a rieducare i giovani, i quali vivendo gia' in un humus deviato, provano esaltazione nella raffigurazione di una loro appertenenza sociale.
Il seme del cambiamento sta nell'infondere ai giovanissimi la speranza di poter vivere liberi della propria soggettivita' e non schiavi del sistema.

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