La zona e' un delicato crocevia tra Europa ed Asia. In verita' sono stati dapprima i georgiani a voler invadere l'Ossezia, provincia autonoma ed inerme che ha subito l'azione militare dei generali georgiani. Ma la risposta di Mosca e' stata sproporzionata. Non si provocano così tante vittime per sedare piccoli conflitti territoriali. Si intuisce che il controllo dell'Ossezia e' un fattore secondario. Mosca vuole detenere il controllo completo di un'area diventata sempre piu' strategica nello scacchiere internazionale, un'area di notevole importanza geo-politica, tra il mar Nero ed il mar Caspio, la vicina Turchia e l'Iran, snodo di trasmissione di importanti gasdotti.
Il Cremlino evidentemente, vuole ribadire la sua centralita' come organo di controllo euroasiatico. Ha forse giocato d'anticipo per impressionare anche la vicina Ucraina per soffocare sul nascere qualsiasi velleita' separatista.
L'unione Sovietica non esiste piu' ma in quella parte di est europeo nulla e' cambiato. C'e' uno scontro non solo per motivazioni economico-politiche ma per una vera forma di scelta sociale e culturale a cui gli abitanti e i governi sono chiamati a rispondere.
Una parte della popolazione si sente vicina agli Stati Uniti, all'occidente, alla Nato; l'altra si sente sempre legata al gigante Russo, al Cremlino, alla religione ortodossa.
L'Europa dell'euro forte e dell'economia al collasso, ha tutto da perdere da questa vicenda e si trova nell'imbarazzo di dover scegliere se limitarsi a dissuadere Putin o spingersi oltre, chiedendo un maggior intervento degli Stati Uniti.
Questo finale di mandato per Bush si sta rilvelando piu' delicato di quanto si potesse immaginare. L'opera diplomatica e' iniziata. Speriamo che la crisi venga risolta in fretta e non venga al contrario trascinata in tempi lunghi con la strategica, calcolata e pericolosa alchimia di mettere in seria difficolta' il passaggio alla nuova Presidenza Usa, con tutte le conseguenze che tale fibrillazione porterebbe a livello internazionale.
Il Cremlino evidentemente, vuole ribadire la sua centralita' come organo di controllo euroasiatico. Ha forse giocato d'anticipo per impressionare anche la vicina Ucraina per soffocare sul nascere qualsiasi velleita' separatista.
L'unione Sovietica non esiste piu' ma in quella parte di est europeo nulla e' cambiato. C'e' uno scontro non solo per motivazioni economico-politiche ma per una vera forma di scelta sociale e culturale a cui gli abitanti e i governi sono chiamati a rispondere.
Una parte della popolazione si sente vicina agli Stati Uniti, all'occidente, alla Nato; l'altra si sente sempre legata al gigante Russo, al Cremlino, alla religione ortodossa.
L'Europa dell'euro forte e dell'economia al collasso, ha tutto da perdere da questa vicenda e si trova nell'imbarazzo di dover scegliere se limitarsi a dissuadere Putin o spingersi oltre, chiedendo un maggior intervento degli Stati Uniti.
Questo finale di mandato per Bush si sta rilvelando piu' delicato di quanto si potesse immaginare. L'opera diplomatica e' iniziata. Speriamo che la crisi venga risolta in fretta e non venga al contrario trascinata in tempi lunghi con la strategica, calcolata e pericolosa alchimia di mettere in seria difficolta' il passaggio alla nuova Presidenza Usa, con tutte le conseguenze che tale fibrillazione porterebbe a livello internazionale.
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