Ne parlai gia' alcuni mesi or sono. La nostra economia, gia' fortemente compromessa dalla spirale di crisi internazionale, sotto minaccia costante da parte della speculazione, senza alcun segnale di ripresa nel breve e medio termine, deve fare i calcoli con una particolare contrazione tutta italiana, da tempo auspicata ma che, inevitabilmente, contribuisce a indebolire ulteriolmente il sistema.
Trattasi dell' indotto indiretto prodotto dalle mafie, economie che non conoscono crisi ma che, da un po' di tempo, devono fare i conti con le misure prese dal Governo che finalmente ha inferto duri colpi alle organizzazioni malavitose.
Come scrissi nel precedente post, se lo Stato non realizza forme di sviluppo alternativo, laddove realizza notevoli contrazioni a quello illegale, l'economia di quelle aree non puo' che tendere alla desertificazione.
In questa fase storica, chi materialmente avrebbe la capacita' e la solvibita' di poter vincere una gara pubblica?
Quando si chiude un cantiere in odore di mafia, un grande centro commerciale, una catena di ristoranti, quante persone oneste e laboriose che non hanno niente a che vedere con il titolare malavitoso, perdono il lavoro? Alla luce delle difficolta' del momento, da tempo si sa che oggi, solo le grandi organizzazioni mafiose avrebbero la disponibilita' finanziaria di potersi accollare grosse commesse, come ad esempio i lavori del prossimo Expo' di Milano.
Non intendo affatto mettermi dalla parte chi di opera nel malaffare. Ma la nostra economia oggi deve affrontare anche questo nuovo problema: convertire un sistema produttivo spesso gestito dalla malavita, in un'economia libera ed autonoma, retta soltanto da capitali puliti.
E' possibile? Non vorrei che le parole del Ministro Brunetta, in merito all'inutilita' dei certificati anti-mafia, fossero un escamotage per prolungare questa forma di economia dicotomica, dove a volte, la presenza di grosse quantita' di denaro, servono comunque e a prescindere dalla natura della loro provenienza.
Trattasi dell' indotto indiretto prodotto dalle mafie, economie che non conoscono crisi ma che, da un po' di tempo, devono fare i conti con le misure prese dal Governo che finalmente ha inferto duri colpi alle organizzazioni malavitose.
Come scrissi nel precedente post, se lo Stato non realizza forme di sviluppo alternativo, laddove realizza notevoli contrazioni a quello illegale, l'economia di quelle aree non puo' che tendere alla desertificazione.
In questa fase storica, chi materialmente avrebbe la capacita' e la solvibita' di poter vincere una gara pubblica?
Quando si chiude un cantiere in odore di mafia, un grande centro commerciale, una catena di ristoranti, quante persone oneste e laboriose che non hanno niente a che vedere con il titolare malavitoso, perdono il lavoro? Alla luce delle difficolta' del momento, da tempo si sa che oggi, solo le grandi organizzazioni mafiose avrebbero la disponibilita' finanziaria di potersi accollare grosse commesse, come ad esempio i lavori del prossimo Expo' di Milano.
Non intendo affatto mettermi dalla parte chi di opera nel malaffare. Ma la nostra economia oggi deve affrontare anche questo nuovo problema: convertire un sistema produttivo spesso gestito dalla malavita, in un'economia libera ed autonoma, retta soltanto da capitali puliti.
E' possibile? Non vorrei che le parole del Ministro Brunetta, in merito all'inutilita' dei certificati anti-mafia, fossero un escamotage per prolungare questa forma di economia dicotomica, dove a volte, la presenza di grosse quantita' di denaro, servono comunque e a prescindere dalla natura della loro provenienza.